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Paolo Dalponte: il sogno dell’arte e i mondi paralleli                di Alessandro Togni

 

“L’immagine è una creazione pura dello spirito. Non può nascere da un paragone ma dall’accostamento di due realtà più o meno distanti. Più i rapporti fra le due realtà saranno remoti ed esatti, più l’immagine sarà forte, più sarà ricca di potenza emotiva e di realtà poetica”. Così scrive Pierre Reverdy in una delle sue raccolte poetiche sul finire del secondo decennio del ‘900. E dentro un subbuglio di idee, di istigazioni artistiche, di invenzioni, ecco le versioni della figurazione prendere corpo e risolversi in costruzioni sempre più articolate, dove la realtà, appunto, diviene solo una delle componenti dell’espressione. Una sorta di abbandono mentale dove le cose vanno e vengono trasportate da una forza visionaria e disubbidiente alle costituzioni sin qui conosciute, il luogo dove le situazioni non si verificano come solitamente avviene ma dove sfuggono alle regole “causa/effetto” per approdare in territori dove le leggi non possiedono più la loro specifica verità. E’ il Surrealismo, il nuovo modo di fare arte, il sistema fuori dagli schemi della logica in grado di svolgere una funzione di contatto fra gli universi del reale e dell’immaginario. Ed è in questa porzione di pensiero estetico che troviamo anche l’opera di un autore giudicariese riconosciuto ed affermato: Paolo Dalponte. Un artista che nella traccia del Surrealismo ha costruito tutta la sua forma espressiva, un ricercatore che nel sogno dell’arte ha posto alla nostra osservazione innumerevoli elementi di suggestione e di riflessione. Una comunicazione visiva spesso invasa da sollecitazioni di carattere simbolico, altalenante fra una lettura indicatrice di nozioni estetiche di ordine puramente formale, ma peraltro anche foriera di materiali interpretativi legati al mondo delle idee e delle realtà superiori. In genere l’opera d’arte viene manifestandosi attraverso la determinazione della tecnica, esplicandosi mediante la personale creatività; ma è attraverso l’immaginazione che avviene il vero e proprio miracolo della significazione. Visioni di altri mondi, materializzazioni di forme inusitate, spesso senza una precisa funzione, in grado di distoglierci da una ricezione “normale”, per raggiungere una “percezione ultra”. Paolo Dalponte elenca nelle sue opere queste proprietà intrinseche dell’arte e pone le basi per una trasformazione della lettura e dell’interpretazione. E’ una forma di estasi terrena, il riflesso di un mondo parallelo apparsoci d’improvviso e subito capace di rovesciare tutte le norme del conosciuto, per un ulteriore conoscere. La formula di Paolo Dalponte dunque si affida alla grammatica della “decontestualizzazione”: eccolo l’accostamento di due realtà come scrisse Reverdy. “Veggente”, un’opera di recente produzione, ad esempio, indugia sulla ritrattistica metafisica e nella sua dinamica riesce a disorientare per la impattante proprietà di illusione, specularità ultraterrena, scarto allucinato e contrasto fra le parti fisiche in un gioco di rimandi fra coscienza e stato di meditazione. Il volto si sporge dentro una vastità azzurrata mantenendo le palpebre abbassate come se le meccaniche del mondo reale fossero completamente dimenticate e tuttavia, in un altro sistema di osservazione posseduto da una gigantesca calotta cranica da “extraterrestre” ecco gli organi sensoriali di una vista oltre i parametri della razionalità. Siamo quindi dentro l’eclissi della coscienza reale per il raggiungimento della sapienza ai limiti dell’infinito.


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