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Livio Ober nasce a Trento il 17 luglio 1922 e muore il 20 settembre 1997.
Ragioniere, cresciuto in una famiglia di ragionieri, ha lavorato come dirigente d’azienda fino al 1982, anno del suo pensionamento.
Sposato con due figli.
Ha fatto parte del Coro della SAT per trent’anni dal 1958 al 1988 ricoprendo la carica di Presidente dal 1984 al 1988. Quale grande appassionato di montagna, partecipava assiduamente alle attività della Sezione SAT di Trento.

Livio Ober fa capolino in città agli inizi degli anni Cinquanta. La sua mano, già naturalmente dotata e rinvigorita da un grandissimo spirito di osservazione, “dipinge” uomini e situazioni della Trento a lui contemporanea. Ober fa un timido passo sulla scena cittadina con un giornale locale, pubblicando, tra le altre, la vignetta “Trento fiorita”, un vigile urbano che rimarrà da quel giorno indelebilmente così chiamato da tutti per tutta la sua vita.
Livio Ober si nega come funzionario ad una banca trentina. Passa a fare il dirigente in una grande azienda privata dove lavora, mai dimenticando però la sua grande passione (ma non esclusiva) per il disegno. Continua a cantare con il Trio Bob, un complessino dilettantistico da cabaret che canta esilaranti parodie. E continua a divertirsi con le vignette, e con lui i trentini, che lo ammirano per cinque anni, tutti i lunedì, sul giornale “L’Adige” nella rubrica “Pianissimo di Ober”.
Ma l’idiosincrasia per la popolarità e un radicato senso di indipendenza da legami che non siano quelli familiari e di lavoro, lo fanno smettere. Non certo di disegnare, ma di lavorare “in pubblico”.
L’amore per la montagna e per i trentini, l’odio per il protagonismo, il rifiuto dell’arroganza, la ripulsa per il provincialismo continuano ad ispirarlo, mettendogli in mano matita e carboncino e guidandolo nelle situazioni più disparate.
Frequenta corsi per lo studio del ritratto, si perfeziona nella sua autodidattica, migliora, ma tutto per un suo godimento personale o, al massimo, per quello degli amici. Tapezza la sua mansarda di acquerelli, di disegni, di caricature non tanto di personaggi con nome e cognome, ma di trentini semplici e meno semplici, ma soprattutto veraci.
Guarda, cattura e restituisce il costume trentino (ma anche italiano) filtrandolo con una intelligenza acutissima. I suoi personaggi siono trentini di razza, trentini autentici dai capelli ai piedi, piedi che, se solo può, Ober disegna scalzi perchè – sostiene – è da lì, da quei tondi e grossi alluci che sale la vitalità delle loro figure. Una scarpa li azzopperebbe. E da questa osservazione vien spontaneo appaiare Ober al grande Altan con i suoi nasi enormi tutti uguali e tutti diversi, un particolare anatomico che non è una mera etichetta, ma piuttosto un costante filtro filosofico e un codice di lettura dei suoi lavori.
In alcuni lavori (non dimentichiamo che Ober è anche un meraviglioso acquerellista) c’è addirittura pura genialità. La si trova quando affronta temi esistenziali di cui coglie gli aspetti più genuini. Li osserva e li spoglia dell’incombente (e in certuni autori permanente) qualunquismo per vestirli, dopo averli scolpiti con profondità concettuale, di spumeggiante originalità. Non diversamente si può dire, ad esempio, di “L’mbate ancora per poco”, la vignetta in cui l’uomo taglia un albero ma, in realtà, abbatte se stesso. E così è anche, dal punto di vista politico, l’esilarante “Pro l’oco”, l’oca maschio che, vestita da cieco, chiede la carità agli angoli della strada. O, ancora, “Os… che om che sè voi Catina”, un vero poema filosofico sociale della realtà delle nostre valli d’un tempo (talvolta tuttora presente) in cui la laboriosità, l’impegno, le fatiche fisiche e morali delle donne di paese, che finiscono per assegnare ad esse muscoli mascolini, fanno nutrire all’uomo invidia e ammirazione.
Dunque Livio Ober è il regista, lo sceneggiatore, lo scenografo di un film sul Trentino, sui suoi personaggi che sono tutti protagonisti alla pari. Per lui la gente che conta è quella che non conta, ma che, poi, è quella che scrive la vera storia.
E’ stato il neorealista del costume tentino. Forse l’unico. Con il trio Bob ha anticipato i tempi di certe forme artistiche con esibizioni scapigliate, ma ha avuto nella satira disegnata anche intuiti culturali di più vasto respiro.
Contraddittorio o eclettico finché ha disegnato e cantato con la sua chitarrina su due registri diversi, Ober ha abbandonato il trio Bob sciogliendolo quando era in piena auge. “Caro mio – anticipa la domanda – bisogna saper morire sempre in salita”.
Ober ha varcato le Alpi e l’Oceano con il coro della Sat, portando la tridentinità e incontrandola nelle manifestazioni più genuine, povere finché si vuole, ma reali e struggenti. Ha conosciuto all’estero “la grande dignità dei tentini e il loro profondo senso di popolo”. Ha visto a Hazleton in Pennsylvania i trentini nelle baracche e nella fame, ma ligi al dovere ancestrale di continuare ad essere trentini.
Al Metropolitan Museum di New York durante l’interminabile applauso di 70 secondi ha capito il grandissimo valore della coralità alpina, il cordone ombelicale che lega il Trentino ai suoi emigrati. “Sono esperienze – dice guardando il soffitto – che ti scavano tumultuosamente nello spirito, facendoti mettere al bando i valori egoistici della vita per far posto a quelli di un popolo.

Da: Livio Obera racconta la “sua” Trento fiorita e Da un naï la satira del “Trentinismo” di Giorgio Dal Bosco

Checché sostenga il proverbio, il riso, quello che nasce dall’umorismo, abbonda sulla bocca degli intelligenti. Ma non solo è intelligente chi sa ridere. Deve essere intelligente soprattutto chi, l’umorismo, lo crea. Livio è stato uno di costoro, un uomo che, conoscendo copione e attori di quella commedia che è la vita, ha saputo trarne l’aspetto esteriore nel momento in cui esso usurpa ed esilia la vera sostanza delle cose. Una volta, ricordo, mi disse sintetizzando al meglio la sua “arte”. “Caro Giorgio, bisogna ridere di cuore, mai sotto i baffi”. Insomma, ridere serenamente senza malizia.
Giorgio Dal Bosco


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