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GIANLUIGI ROCCA

SPLENDORI NELLA SUPERIORE PUREZZA DELLA SOLITUDINE

Cristallizzazioni, come si trattasse di una sostanza emozionale che, prossima ad attraversare le evoluzioni del tempo, si fosse soffermata a contemplare le bellezze della Natura al punto da rimanere prigioniera di un artificio ai nostri occhi ancora incomprensibile. Avvenne al passaggio di un momento infinitesimale, quando la materia estetica catturata da volontà antiche, forse proveniente da impulsi Rinascimentali, forse imbevuta di sangue bianco della determinazione Fiamminga, si ritrovò ad eludere ed allontanarsi dalle strategie espressive dell’astrazione, per approdare sopra gli altipiani, dentro le facoltà della precisione. La restituzione della sovranità alla figurazione realistica sopra tutte le iconografie possibili, la ricercata essenza di un pensiero dai tratti sentimentali, una memoria magnetica applicata a rendere nuovamente percepibile la densità della materia, prima che gli effetti dell’allontanamento delle galassie non renda tutto improbabile ed inattuabile. La rappresentazione di Gianluigi Rocca dispone a favore dell’ordine attraverso la sequenzialità delle incidenze della conoscenza, dentro i confini della proiezione spaziale prospettica, nell’incredibile osservazione letteraria che il suo sguardo e successivamente il suo intuito e la sua mano, sanno codificare ed esprimere, agitando segni, colori e carte divenuti fratelli di una vita non solamente esteriore. Un dialogo in appartenenza mentre le annotazioni visive attraverso una movimentazione lenta e sospirata si appropriano della superficie manifestando il loro tratto sempre più comprensibile, sia per attitudine alla realtà, sia per affinità culturale. Noi, abitanti delle montagne, esseri senzienti ai quali appartiene un lontanissimo imprinting disegnato da logiche asciutte e pervaso da oggetti di antica familiarità, siamo facilitati a percepire il fascino discreto della sua pittura, a ricevere con spirito accogliente il respiro solenne delle cose che la abitano in tranquillità. Sono oggetti umili di un passato non troppo lontano, utensili domestici dalla decisa funzionalità, ma anche frammenti di un “piccolo gioco” destinati a rendere maggiormente piacevole la casa e decorare stanze solitamente austere nella loro compostezza di chiesa. Simboli nobili del silenzio dentro i quali sentiamo convivere il fascino di una dignità assorta e rispettosa, ma anche la grandezza nella sintesi estrema della semplicità. Nella loro statuaria “sensuale” quindi riconosciamo non solamente le intenzioni avite del mondo delle Alpi, ma anche la fissazione degli oggetti, quasi si trattasse di rendere significato alle cose dipinte, di attribuire loro un’anima, di consolidare il loro peso specifico, riflettendo sul fatto che qualsiasi cosa appartenente alla materia non solo viene percepita dai sensi ma, anche, viene interpretata con l’intelletto. L’oggetto dopo le cure e le attenzioni tese ad escludere quantità di possibile disordine volute dall’autore, ora si manifesta nella sua interezza ed in accordo con il fondale (palcoscenico naturale dentro il quale l’oggetto diviene soggetto) sembra riuscire a mantenere in “continuum” la sua esistenza lontana dalle tempeste. Oggetti fascinosamente ritratti come fossero dotati di pulsazione vitale, sottoposti ad inondazioni di luce diffusa di origine infinita, mentre provocano variazioni ed interazioni fra le parti, sempre accompagnati da ombre la cui persistenza appare inevitabile. Eppure mentre la nostra osservazione si muove alla ricerca delle innumerevoli quantità sentimentali, mentre vogliamo riassaporare le intensità delle storie precedenti ora immaginate, proprio durante queste nostre indagini del ricordo, ci sembra che tutto si stia abbandonando dentro una condensazione inerte e dove ad assalirci sembra il gusto solenne della malinconia. Una pura razionalità civile, la impressionante facoltà precisionistica, sembrano consegnare ora all’opera l’esclusività della visione di un momento divenuto stabile ed immutabile nel trascorrere del tempo. Abbandonata l’azione ecco la rappresentazione dalle cadenze larghe come si trattasse di un movimento sinfonico grave; ciò che un tempo accadde ha trasferito a noi solamente le spoglie mute e mentre ai nostri occhi rimane nascosto il dramma di un esistenza sublime e passata, nell’opera compare esclusivamente l’incidenza postuma di una dolente “deposizione”. Il soggetto singolare e/o plurale deposto ed accolto dentro lo spazio bianco, la perfezione formale ammantata di cenere e le livree folgoranti di nitore neoclassico, lo sfumato ricco di sovrapposizioni sottili come membrane, l’agiatezza e il pregio, sono splendidamente rappresentati e sempre sostenuti nella raffinatezza. Ed ancora la vocazione inesorabile dell’artista alla ricerca di una concentrazione memore non solamente delle cose attribuibili all’universo dei fenomeni ma anche ad avanzare ipotesi di comprensione delle teorie della psiche, delle sintassi interiori. Il punto di vista fisico non rimane mai univocamente posizionato ed in ogni osservazione si percepisce una sua diversa collocazione; lo sguardo quindi in tutte le opere traduce una sua specifica misura, oscillando ed emettendo in ogni caso i suoi raggi visivi verso le livide “nature immobili”, dentro una condizione ultrascientifica, in ricordo e rispetto degli insegnamenti Mongeiani e della geometria descrittiva. Una visione triedrica decisamente incline a reclamare disposizioni riconoscibili e classificabili, una strategia compositiva di sintesi dal carattere austero nello splendore di luoghi dove tuttavia non esistono esclusivamente le materialità opache ma anche e soprattutto le trasparenze nella sublimazione del reale e nella superiore purezza della solitudine.

Tione di Trento, 13 dicembre 2014   Alessandro Togni


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